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Si insedia Trump e l’Africa è costretta a guardare

di: Andrea Spinelli Barrile | 21 Gennaio 2025

Si celebrano oggi due eventi molto importanti per gli Stati Uniti: il Martin Luther King Day e il secondo insediamento del presidente Donald Trump, 45esimo e 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America. Una cerimonia, quest’ultima, che rompendo con la tradizione del passato, per cui l’insediamento del presidente è un “affare interno” agli Usa, include diversi capi di stato e di governo stranieri. Spoiler: non ci sono leader africani.

Nessuno degli invitati di Trump, infatti, arriva dal continente e l’unico africano che sarà presente al giuramento di Trump è Elon Musk, che oltre a essere cittadino statunitense e canadese è anche cittadino sudafricano, dove è nato.

Trump ha rotto con il protocollo della cerimonia tradizionale invitando ufficialmente una dozzina di leader mondiali, la maggior parte dei quali conservatori e di destra: secondo i registri del Dipartimento di Stato risalenti al 1874, citati dalla Cbs, nessun leader straniero ha mai partecipato a una cerimonia di trasferimento di potere a Washington. Questa volta, invece, ci sarà Giorgia Meloni, unica leader europea presente, l’argentino Javier Milei, l’ecuadoregno Daniel Noboa e l’ungherese Viktor Orban. Sono stati invitati, ma non parteciperanno, l’ex-presidente brasiliano Jair Bolsonaro (ha un divieto di viaggio e il suo passaporto è stato sequestrato) e l’ex-primo ministro polacco Mateusz Morawieck (attuale leader dei Conservatori e riformisti europei al Parlamento di Bruxelles). Questa rottura del protocollo, che tradizionalmente prevede che all’insediamento del presidente americano partecipino gli ambasciatori stranieri a Washington, prevede anche la partecipazione di Han Zheng, vicepresidente cinese che farà le veci di Xi Jinping, e del ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar al posto del primo ministro Narendra Modi.

A questo punto, però, fanno certamente più rumore le assenze alla cerimonia di Washington: la presenza di leader europei, asiatici e americani alla cerimonia in effetti stona con l’assenza del britannico Starmer, del francese Macron, di Ursula Von Der Leyen e del tedesco Sholz. Ma il grande vuoto è probabilmente l’assenza totale di leader africani: nessun capo di stato o di governo africano è stato invitato, nonostante, riporta The East African, in diversi abbiano manifestato l’intenzione di partecipare (ad esempio Nigeria e Mozambico). Secondo un articolo comparso sul New York Post l’11 gennaio, alcuni leader africani esclusi “stanno impazzendo” perché “non vedevano l’ora di partecipare” e se è vero, come è vero, che alla vigilia della prima presidenza Trump l’Africa era il grande assente nel dibattito pre-elettorale oggi, da parte di Trump, poche cose sembrano essere cambiate.

Il fatto è che è cambiato il resto del mondo. La visione di Trump dell’Africa non è un mistero e l’ha sintetizzata lo stesso Trump quando ha detto che l’Africa “è un posto di merda” (nel 2018). Ma dal quale, aggiungiamo, possono venire fuori grandi cose, come i trofei di caccia dei figli Donald Jr. ed Eric, notoriamente amanti di caccia grossa africana. “Forse” scrive in un’analisi Adekeye Adebajo, ricercatore e già direttore esecutivo a Città del Capo, in Sudafrica, del Centre for conflict resolution, “il meglio che l’Africa può aspettarsi da un’amministrazione Trump isolazionista è un ulteriore ritiro di truppe statunitensi dall’Africa”.

Eletto nel 2017, nel 2019 Trump ha lanciato la sua (unica) iniziativa africana, Prosper Africa, per facilitare l’impegno economico americano in Africa: da allora, secondo i dati ufficiali, gli Usa hanno concluso circa 3.000 accordi in 49 Paesi africani per un valore di circa 120 miliardi di dollari. Ma del rapporto tra la prima presidenza Trump e l’Africa è ricordato soprattutto il Muslim ban, un bando sui viaggi in Usa per i cittadini di Somalia, Sudan e Libia (e Iran, Iraq, Siria e Yemen in Medio Oriente). Secondo Semafor Africa, Peter Pham (ex-inviato speciale per il Sahel, veterano dei circoli Usa-Africa) sarà il nuovo funzionario di punta per l’Africa della nuova amministrazione Trump mentre Tibor Nagy, che ha coperto questa posizione nella prima presidenza Trump, ha detto che tornerà al Dipartimento di Stato per un ruolo “oltre l’Africa”. Una prima indicazione sull’orizzonte africano di Trump la avremo nei prossimi mesi: nel 2025 si dovrà rinnovare l’African Growth and Opportunity Act (Agoa) che consente facilitazioni commerciali a una serie di Paesi del continente; e nel 2026 sarà la volta dell’Export-Import Bank. E poi c’è il famoso corridoio di Lobito, uno dei pochi progetti africani su cui Biden ha puntato.

Oggi, tuttavia, la situazione è molto diversa dalla prima presidenza Trump: la transizione energetica rende l’Africa il continente più appetibile, relativamente a minerali e terre rare, e probabilmente avere in squadra uno come Elon Musk, che sulle batterie (fatte di minerali critici e terre rare) ci ha costruito un impero, cambierà lo sguardo che dallo Studio Ovale punterà al continente africano. Con una popolazione stimata in oltre 1 miliardo di persone, la popolazione africana è in rapida crescita e, secondo varie stime, dovrebbe raggiungere i 2,5 miliardi entro il 2050. Si tratta di un grande mercato che svolge un ruolo chiave nell’economia globale e, in termini di affari e commercio, Trump potrebbe essere interessato all’Africa. Secondo Edgar Githua, professore di relazioni internazionali alla Strathmore University in Kenya, “Trump verrà in Africa non tanto perché gli importa dell’Africa, ma perché verrà per contrastare l’influenza cinese sul suolo africano. Quindi quella lotta, quella guerra per procura, quel riposizionamento geopolitico, secondo me, è ciò che potrebbe probabilmente giovare all’Africa”.

Si tratta di ipotesi ma il tema delle materie prime per sostenere la politica trumpiana di “America first” è il grande elefante nella stanza dell’autarchia trumpiana: aumentare la produzione interna degli Stati Uniti significa necessariamente importare materie prime da tutto il mondo, sia minerarie che agricole. Ed è qui che l’Africa potrebbe ritagliarsi un ruolo.

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