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Rispetto e Sistema Paese, così il Piano Mattei correrà davvero

di: Rita Ricciardi | 9 Settembre 2024

Faccio una premessa. Sempre di più la mia attività è focalizzata all’estero e il mio lavoro mi porta a contatto con realtà molto distanti dall’Italia, non solo geograficamente. Lo scorso maggio, però, sono intervenuta a un panel sul Piano Mattei organizzato a Roma, a Codeway Expo, e lì, tra le altre cose si è parlato del Fondo per il clima, che è in parte chiamato a finanziare i progetti legati al Piano. Come ha ricordato in quella occasione Guido Lombardo, direttore Cooperazione internazionale e finanza per lo sviluppo di Cassa depositi e prestiti (Cdp), il Fondo clima può contare su una dotazione di 4,2 miliardi di euro, tre dei quali saranno utilizzati a supporto del Piano Mattei. Oltre agli interventi di tipo finanziario, pari a 800 milioni di euro all’anno, 200 milioni di euro all’anno saranno destinati alla technical assistance. Coloro che vogliono sviluppare progetti in Africa potranno beneficiare di questi fondi. 

Secondo me, questa è la strada giusta. Non sufficiente forse, ma sicuramente giusta. 

Fare richiesta per i prestiti del fondo clima sembra abbastanza facile, basta seguire le linee guida espresse in un manuale disponibile sul sito dell’Oecd che illustra gli indicatori fondamentali per accedere al fondo. Quali saranno i criteri di selezione a parte la scelta politica dell’Italia lo è un po’ meno. 

Interessanti poi i 200 milioni dedicati all’assistenza tecnica perché consentiranno di dimostrare la sostenibilità dei progetti e ne favoriranno la bancabilità. Di questo ne sono convinta, anzi i 200 milioni per l’assistenza tecnica mi sembrano ancora più interessanti degli 800 messi a disposizione dal Fondo clima annualmente, perché è di questo che ha bisogno l’Africa oggi: progetti sostenibili e scritti in maniera chiara. 

Ma devo anche sottolineare che l’Africa ha bisogno di rispetto. Ai tanti che sempre più la tirano per la giacchetta, chiede rispetto. Aggiungerei che pretende giustamente rispetto. Questo non sempre avviene, per i motivi più disparati, tra i quali anche più o meno velate forme di razzismo che si annidano anche lì dove il grado di apertura mentale dovrebbe essere massimo. Provo a spiegarmi in altre parole, facendo un azzardato parallelo. Circa 20/25 anni fa l’Italia cominciò a fare massicciamente uso dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, i famosi co.co.co. Una formula che poi evolvette nei co.co.pro. Ad essere assunti in questo modo erano soprattutto i giovani ventenni e trentenni di allora, i quali però a fronte di quella modalità di lavoro non trovavano nel sistema bancario e finanziario una risposta adeguata alle loro esigenze. In soldoni, se avevi un co.co.co. potevi scordarti il mutuo per l’acquisto della prima casa. Una vera e propria asimmetria che se dava più formule a disposizione degli imprenditori, a quei giovani non dava la possibilità di accedere a strumenti finanziari adeguati. 

Questa stessa asimmetria, fatte le debite differenze, la vedo replicata nella modalità con cui ancora oggi trattiamo i cittadini africani con cui l’Italia sostiene di voler aprire un nuovo capitolo di collaborazione, leggi Piano Mattei. 

Se davvero vogliamo che il Piano Mattei funzioni e diventi una strada maestra che ci conduca lontano, anche a prescindere dai colori politici di questo o quel governo, dobbiamo fare qualcosa perché l’Africa venga trattata con rispetto. Non è davvero possibile che per ottenere un visto di ingresso in Italia si debbano smuovere mari e monti anche quando è la stessa Italia magari a invitare una delegazione, un buyer, un ministro. 

Il Piano Mattei non può essere il co.co.co. di 20 anni fa che non trova nelle banche le garanzie per accendere il mutuo. Dobbiamo da subito creare meccanismi che facilitino il business e la politica, servono corridoi preferenziali perché la business community africana possa, quando è necessario, recarsi in Italia senza patemi e rallentamenti così come ancora oggi succede. Non possiamo discriminare l’Africa e pretendere poi di essere trattati meglio dei cinesi o dei russi o anche dei turchi. Il mondo non funziona così o non funziona più così: apriamo gli occhi e cominciamo a trattare con dignità e rispetto, così come immagino ciascuno di noi vorrebbe essere trattato. 

Ultimo punto e non per importanza: il cambiamento sta in un vero sistema Paese. Le nostre istituzioni possono giocare un ruolo fondamentale, con poco possono davvero aprire cancellate, non porte, all’economia italiana. Basta volerlo e agire come una squadra.

 

Questo editoriale è apparso sul numero di agosto-settembre 2024 di Africa e Affari, disponibile per l’acquisto qui in formato cartaceo e qui in formato digitale.

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