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Mozambico: vescovo Pemba, a Cabo Delgado una crisi dimenticata

di: Enrico Casale | 9 Luglio 2024

La ribellione a Cabo Delgado, regione settentrionale del Mozambico, è legata sì al terrorismo islamico (Isis), ma anche alla povertà, all’appropriazione illecita di risorse naturali e minerali, alla corruzione di alcune figure di potere che cercano un rapido arricchimento attraverso il traffico di droga, la tratta di esseri umani e altre attività illecite. È quanto sostiene mons. Antonio Juliasse F. Sandramo, vescovo di Pemba, in una intervista rilasciata al mensile Missioni Consolata. “Quest’anno i mesi di gennaio e febbraio sono stati i più tragici, con una sequenza di attacchi compiuti nella parte orientale del distretto di Chiure, dove sono state distrutte 18 chiese cattoliche in altrettanti villaggi attaccati – ha detto il prelato -. Ci sono stati alcuni morti e molte persone sono state costrette a spostarsi, aumentando il numero degli sfollati interni, che ha già raggiunto la cifra di un milione dall’inizio di questa instabilità militare nel 2017. L’altro grande attacco è stato effettuato il 10 maggio quando i jihadisti islamici hanno invaso il capoluogo del distretto di Macomia, provocando alcuni morti, danni ad alcune infrastrutture e diffusi saccheggi di enti economici e organizzazioni non governative”.

In questo contesto, la popolazione si trova in una situazione vulnerabile, spesso è costretta a collaborare quando non riesce a fuggire. In generale, la popolazione indifesa è vittima di questa violenza militare. “I jihadisti – ha sottolineato – hanno talvolta chiesto sostegno alle popolazioni musulmane, ma la collaborazione di queste popolazioni è basata più sulla paura che su una convinta adesione agli ideali dei fondamentalisti. La situazione umanitaria merita molta attenzione. Molti campi di reinsediamento per sfollati interni rimangono privi di condizioni adeguate. Quest’anno il raccolto non è stato sufficiente e, quindi, ci sarà carestia nei campi di reinsediamento degli sfollati interni e anche tra le popolazioni che sono tornate ai villaggi attaccati”. Mancano anche medicine e sostegno scolastico. Le organizzazioni che fornivano sostegno psicosociale e protezione alle persone vulnerabili hanno finito i soldi e stanno abbandonando il loro lavoro. Il timore è che i problemi legati alle violazioni dei diritti umani, soprattutto contro donne e bambini, peggiorino nuovamente tra gli sfollati interni.

“Dal 2017 (anno in cui è iniziata la crisi, ndr), la Chiesa cattolica ha sostenuto più di 250.000 sfollati interni con assistenza sanitaria, trasporti, cibo, costruzione di rifugi, sostegno scolastico, sostegno psicosociale e assistenza spirituale – ha concluso il vescovo -. La Chiesa cattolica è impegnata in questo sostegno attraverso la Caritas diocesana di Pemba, il settore emergenza della diocesi di Pemba e attraverso il coinvolgimento diretto del personale missionario nelle parrocchie in cui si trovano. Molte persone bisognose bussano spesso alle porte di preti e suore in cerca di aiuto. Purtroppo, da quando l’attenzione dei media si è rivolta alla guerra in Ucraina e a quella in Medio Oriente, il nostro problema è passato in secondo piano e gli aiuti non arrivano più come una volta. Senza aiuto, la Chiesa soffre di non poter aiutare le altre vittime bisognose degli attacchi jihadisti”.

 

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