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Kenya: lo scontro tra poteri fa più vittime dell’economia

di: Andrea Spinelli Barrile | 13 Gennaio 2025

La crisi economica e politica del Kenya, esplosa la scorsa estate con le proteste in tutto il Paese contro la legge di bilancio, poi ritirata, si sta sempre più velocemente trasformando in una crisi istituzionale, con pezzi dello Stato messi gli uni contro gli altri in un vero e proprio scontro ai massimi livelli.

Le accuse di rapimento alla polizia, arresti illegali operati da squadroni di agenti in borghese che detengono poi per giorni noti attivisti per i diritti umani e civili, sono oggi il terreno principale di questo scontro tra istituzioni, con la Polizia che sembra rifiutarsi di dare il proprio contributo per fare chiarezza su questi arresti illegali. Ieri l’Alta Corte del Kenya ha chiesto all’ispettore generale della polizia, Douglas Kanja, di spiegare la recente ondata di rapimenti di attivisti critici del governo: “Se l’ispettore generale della polizia non si presenta, chiederò una condanna” per oltraggio alla Corte, ha detto in Aula il giudice Bahati Mwamuye davanti a un’Aula gremita. Kanja dovrà presentarsi in tribunale il prossimo 27 gennaio.

Presso l’Alta Corte di Nairobi si sta svolgendo un procedimento avviato dopo la scomparsa di sei attivisti durante le vacanze di Natale: cinque di loro sono ricomparsi soltanto lunedì e non è chiaro chi sia stato l’autore di questi arresti, dove questi ragazzi siano stati detenuti e perché. L’attivista Steve Mbisi, al contrario, è ancora introvabile. Bernard Kavuli è uno degli attivisti tornati in libertà lunedì e che due giorni dopo era in aula: volto tirato e aria strazzonata, ha rilasciato alcune dichiarazioni alla stampa in compagnia del suo avvocato dicendo che i suoi rapitori, che lo hanno preso senza un mandato, erano armati e che lui è rimasto ammanettato tutto il tempo: “Quante persone possono essere in possesso di manette per legge? Secondo me, solo la polizia può ammanettarti” ha detto Ndegwa Njiru, il suo avvocato, ai giornalisti.

Dalle proteste della scorsa estate la Commissione nazionale keniota per i diritti umani (Knchr) ha registrato 82 casi di rapimenti, oltre agli oltre 60 morti nei giorni di protesta. A novembre, il presidente William Ruto ha provato a dare una sua personale lettura di questo dato: “Molti di questi casi sono stati risolti e altri si sono rivelati false informazioni. Inoltre, un buon numero di queste cosiddette persone scomparse sono state arrestate dalla polizia. In questi casi, i sospettati sono stati debitamente consegnati alla giustizia” ha detto, specificando di condannare “tutti gli atti extragiudiziali che mettono in pericolo la vita o la libertà di chiunque”. Una versione che non ha convinto: secondo la Knchr, decine di persone sarebbero ancora disperse. Tuttavia, la polizia keniana ha sempre negato il coinvolgimento dei suoi agenti nelle sparizioni forzate di attivisti ma non sembrano essere state avviate indagini interne per chiarire questi aspetti e queste accuse: la settimana scorsa il giudice Mwamuye ha chiesto alla polizia di audire in aula i sei presunti autori dei rapimenti di questi attivisti o, in alternative, di “spiegare sotto giuramento” dove si trovano e che attività svolgono.

Molti gruppi e organizzazioni per i diritti umani sostengono che esista un’unità segreta dei servizi di intelligence e antiterrorismo dedita a queste attività, che per la legge keniana sono illegali. Il tema degli arresti illegali e dei rapimenti, tra l’altro, non è soltanto interno al Kenya ma rischia di allargarsi: Kizza Besigye, notissimo oppositore politico ugandese di 68 anni, è scomparso poco prima della presentazione del libro di un’oppositrice keniana, Martha Karua, evento stava per svolgersi nel quartiere Riverside di Nairobi lo scorso novembre. È ricomparso qualche giorno dopo in manette di fronte alla Corte marziale di Kampala, in Uganda, e nessuno ha ancora chiarito né le circostanze dell’arresto né quelle della sua estradizione. Questo caso “ha suscitato molto interesse sia nell’Africa orientale che in tutta l’Africa e nella comunità internazionale” ha dichiarato i primi di dicembre Martha Karua, che difenderà in tribunale l’amico Besigye. Secondo la moglie di Besigye, Winnie Byanyima, il politico ugandese è stato arrestato e caricato in macchina insieme ad agenti dell’intelligence ugandese, che hanno attraversato durante la notte il confine di Busia, tra Kenya e Uganda. “Quattro degli uomini hanno caricato lui e il suo compagno in un’auto e li hanno condotti per tutta la notte verso il confine con l’Uganda. Hanno attraversato il confine senza fermarsi. È stata chiaramente un’operazione ben pianificata” ha accusato Byanyima.

Il caso di Besigye non è l’unico: alla fine di luglio, 36 membri del Forum per il cambiamento democratico (Fdc), il partito creato da Besigye, sono stati arrestati nel Kenya occidentale e deportati in Uganda, dove sono stati accusati di “terrorismo”. Sono stati rilasciati su cauzione soltanto alla fine di ottobre. E di casi simili ce ne sono anche altri, meno noti ma altrettanto inquietanti: a ottobre, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) si era detto “profondamente preoccupato” per il caso di quattro rifugiati turchi che, secondo gruppi per i diritti umani, erano stati rapiti nella capitale del Kenya e deportati in Turchia in violazione delle norme diritto internazionale.

Insomma, la questione dei rapimenti illegali da parte della polizia keniana è un tema che si sta allargando velocemente oltre i confini del Paese dell’Africa orientale e che, internamente, sta facendo molto discutere. Nei mesi scorsi, lo stesso presidente Ruto ha criticato alcune azioni della polizia, come l’uso di proiettili veri sui manifestanti, le provocazioni in piazza e gli arresti arbitrari, in parte mettendo a nudo le vergogne di questo scontro interno tra poteri.

© Riproduzione riservata

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