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Inaet: Finanza, servono regole, strumenti e investimenti locali

di: Ernesto Sii | 9 Aprile 2025

Come può la finanza servire davvero una transizione sostenibile? È stato questo l’interrogativo al centro del panel “Making finance serve a sustainable transition”, che ha aperto la seconda giornata della conferenza Inaet 2025 a Nairobi, organizzata dalla Luiss School of Government, in collaborazione con Eni, International Finance Corporation e con il supporto di Bayer, Wts Energy e Seco di Alpha Group. Un dibattito molto tecnico, aperto dal keynote di Francesco La Camera, Direttore Generale dell’International Renewable Energy Agency (Irena), e moderato da Rita Ricciardi, partner dello studio Bergs & More.

Dopo il suo intervento introduttivo, La Camera ha aperto il dibattito ribadendo che l’Africa è il continente con il maggior potenziale per le rinnovabili ma il minor accesso alla finanza verde. “La crisi climatica è già qui – ha detto – e non possiamo affrontarla senza mettere il continente africano al centro della transizione energetica globale”. Per riuscirci, secondo Irena, servono tre leve: infrastrutture moderne, quadri normativi stabili e rafforzamento istituzionale locale.

Ma soprattutto, serve una finanza che sappia adattarsi al contesto africano: “Oggi ci troviamo di fronte a un gap sistemico che richiede una risposta sistemica. Non bastano progetti, serve una visione tipo Piano Marshall: mobilitare capitali a lungo termine, a basso costo, per generare valore locale e creare occupazione”.

A delineare il quadro dei principali ostacoli è stato Edward Claessen della Banca Europea per gli Investimenti (Bei), che ha elencato sei fattori che scoraggiano gli investimenti privati: rischio politico elevato, scarsità di progetti bancabili, burocrazia, mancanza di inclusione del settore privato, carenze di competenze locali e debiti pubblici insostenibili. “Serve una finanza mista, dove fondi pubblici e privati si rafforzino a vicenda. E serve lavorare sulla governance, non solo sul capitale”, ha aggiunto.

Bei ha presentato l’iniziativa Agora, che punta a costruire capacità nei Paesi africani in via di selezione, e ha sottolineato l’importanza di coinvolgere le comunità fin dall’inizio dei progetti per evitare conflitti e garantire benefici condivisi.

Dal lato italiano, Enrico Petrocelli di Cassa Depositi e Prestiti ha illustrato i principali strumenti della cooperazione italiana in Africa, tra cui: il fondo congiunto con AfDB per rinnovabili, trasporti sostenibili e acqua (130 milioni di euro); la Growth & Resilience Platform for Africa da 750 milioni; la nuova Platform Africa, con una dotazione di 500 milioni e garanzie pubbliche italiane per attrarre investimenti privati.

Petrocelli ha insistito su tre principi guida: proprietà locale, innovazione finanziaria, alleanze strategiche. “Non basta esportare strumenti – ha detto – bisogna adattarli alle esigenze dei partner africani, co-progettare soluzioni e condividere rischi e opportunità”.

Lucy Chege, rappresentante della Trade and Development Bank (Tdb), ha portato la prospettiva africana sul tavolo. “Il problema non è solo la mancanza di fondi, ma anche la difficoltà ad accedervi – ha spiegato –. I costi di transazione e di preparazione dei progetti sono spesso proibitivi per i piccoli sviluppatori locali”. Chege ha sottolineato l’urgenza di rafforzare l’assistenza tecnica, creare meccanismi di mitigazione del rischio e garantire tariffe sostenibili per gli utenti finali, senza compromettere la redditività dei progetti.

A chiudere il panel, Alexander Larionov della International Finance Corporation (Ifc) ha ribadito che mobilitare capitale privato – e africano in particolare – è cruciale. Ifc ha già investito in oltre 4 GW di capacità rinnovabile, e punta a moltiplicare l’impatto con logiche di cofinanziamento (fino a 3 dollari privati per ogni dollaro Ifc). Larionov ha presentato anche l’iniziativa Dares (Distributed Access to Renewable Energy Systems), che ha mobilitato oltre un miliardo di dollari per espandere l’energia distribuita, con un focus iniziale sulla Nigeria.

Secondo Larionov, uno snodo strategico è il legame tra transizione energetica e transizione industriale: servono soluzioni “semi-captive” per le Pmi, che permettano a imprese africane di alimentare le proprie attività con energia rinnovabile, aumentando competitività e resilienza. “E non dimentichiamo i mercati dei capitali africani – ha concluso –. Senza di loro, non c’è scalabilità”.

Il panel ha restituito un messaggio coerente con lo spirito della conferenza Inaet: non c’è transizione sostenibile senza riforma del sistema finanziario. Occorre passare da una finanza che seleziona pochi progetti “perfetti” a una finanza che accompagna la complessità, abbatte le barriere e costruisce capacità locali. Solo così sarà possibile rendere la transizione non solo tecnicamente fattibile, ma politicamente legittima ed economicamente inclusiva.

© Riproduzione riservata

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