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Energia, agricoltura e acqua: il triangolo strategico

di: Ernesto Sii | 8 Aprile 2025

Si è chiusa con un dibattito ad alto contenuto politico e scientifico la prima giornata della seconda conferenza annuale dell’International Network on African Energy Transition (Inaet), in corso a Nairobi. Il panel conclusivo – dedicato al tema “Not just a transition, a just transition: energy, agriculture and water” – ha messo al centro un’idea forte: la transizione energetica in Africa non può essere separata dalle sfide agricole e idriche, perché riguarda direttamente lo sviluppo, la giustizia climatica e la stabilità del continente.

Organizzata dalla Luiss School of Government, Eni e International Finance Corporation, con il supporto di Bayer, WTS Energy e Seco di Alpha Group, la conferenza ha riunito voci provenienti da imprese, centri di ricerca e organizzazioni internazionali. Il dibattito finale, moderato da Romy Chevallier, ha offerto una prospettiva specifica sul complesso nesso tra energia, cibo e risorse idriche.

Vahid Monadjem, head di Africa Talus renewables, ha puntato l’attenzione su una componente spesso trascurata ma cruciale del sistema agricolo globale: l’ammoniaca. Questo composto è responsabile del 40% della produzione agricola mondiale, ma la sua produzione convenzionale comporta significative emissioni di gas serra – fino a tre tonnellate di CO₂ per ogni tonnellata di ammoniaca prodotta. Talus – ha detto Monadjem – ha sviluppato un modello innovativo basato su impianti decentralizzati, alimentati da energia rinnovabile, che permettono di produrre “ammoniaca verde” direttamente nei pressi delle aziende agricole. Questo sistema non solo riduce le emissioni, ma abbatte anche i costi logistici, rendendo l’accesso ai fertilizzanti più equo. Un agricoltore in Kenya o Zambia paga oggi fino a cinque volte di più per l’ammoniaca rispetto a un collega in Iowa. Il modello di Talus – ha concluso Monadjem – consente di superare questa disuguaglianza, offrendo un vero e proprio green discount, un’alternativa sostenibile e più economica ai fertilizzanti convenzionali.

Dal lato dell’agroindustria, Kai Mornhingweg, head corporate public affairs del gruppo Bayer, ha sottolineato la necessità di affrontare congiuntamente due sfide apparentemente in contrasto: aumentare la produzione alimentare e ridurre le emissioni. Entro il 2050, il mondo avrà bisogno del 50% in più di cibo, ma disporrà di meno terra coltivabile e sarà esposto a crescenti pressioni climatiche. Secondo Bayer, non si può scegliere tra sicurezza alimentare e tutela del clima: bisogna raggiungere entrambi gli obiettivi. L’azienda ha fissato un target ambizioso: ridurre del 30% l’impronta di carbonio per chilogrammo di prodotto agricolo entro il 2030, attraverso tecnologie a basse emissioni e pratiche agricole più sostenibili. L’agricoltura, ha ricordato Kai, è responsabile di circa il 22% delle emissioni globali: un dato che chiama in causa l’intero settore produttivo.

Grazia Pacillo, ricercatrice del consorzio Cgiar, ha portato nel dibattito una prospettiva di giustizia climatica e geopolitica, con un focus sulla distribuzione iniqua dei finanziamenti per l’adattamento e la mitigazione. I Paesi più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico – e spesso meno responsabili delle emissioni – ricevono meno fondi rispetto a quelli più ricchi e più inquinanti. Pacillo ha presentato anche un secondo ambito di ricerca particolarmente rilevante per il futuro africano: l’impatto della corsa ai minerali critici per la transizione energetica. Litio, cobalto, rame e altri materiali sono destinati a registrare un’impennata nella domanda globale, ma la loro estrazione ha già oggi effetti significativi su ecosistemi, territori e comunità locali. In Africa, tra il 2000 e il 2024, sono stati documentati 334 episodi di conflitto legati all’estrazione di soli quattro minerali chiave. Si tratta di dispute che vanno da tensioni locali a violenze gravi, fino a interventi militari.

Il punto sollevato da Cgiar è chiaro: la transizione energetica, se mal gestita, rischia di aggravare le disuguaglianze, alimentare nuovi conflitti e compromettere la sicurezza alimentare e idrica. Inoltre, la crescente domanda di risorse potrebbe non tradursi affatto in benefici per l’Africa, ma solo in accumuli strategici nei Paesi industrializzati. In questo quadro, diventa essenziale interrogarsi sul reale impatto dell’estrazione dei minerali sulla sovranità alimentare e sulla possibilità di generare occupazione, crescita inclusiva e riduzione della povertà.

Il panel ha chiarito che il futuro energetico del continente non può essere progettato senza considerare le esigenze delle sue comunità agricole e rurali, né ignorando le implicazioni ambientali e sociali delle scelte tecnologiche e produttive. Dalla produzione di fertilizzanti verdi alla difesa dei diritti dei territori minerari, passando per l’equità nell’accesso alle risorse, ogni soluzione dovrà essere pensata per essere giusta, non solo efficace. Con questo messaggio, si è chiusa la prima giornata della conferenza Inaet: una giornata che ha posto l’Africa al centro della conversazione globale sulla transizione, non come destinatario passivo, ma come protagonista con priorità proprie e voce autonoma.

 

 

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