di: Ernesto Sii | 9 Aprile 2025
Con il panel “Empowering Change: What Women Bring to the Table”, si è conclusa la seconda mattinata della conferenza Inaet 2025 a Nairobi. Un confronto vivace, appassionato e ricco di spunti concreti su come assicurare una transizione energetica davvero inclusiva, dove le donne non siano semplicemente beneficiarie, ma protagoniste e decisori attivi.
Moderato da Ester Stefanelli, senior political analyst di Eni, il dibattito ha visto la partecipazione di Anne Kingiri (African Centre for Technology Studies), Viridiana Wasike (National Government Affirmative Action Fund) ed Elizabeth Gichache (Women in Sustainable Energy and Entrepreneurship).
Tutte hanno condiviso esperienze dirette, proposte operative e un messaggio chiaro: senza donne nella transizione energetica, non può esserci giustizia climatica né sviluppo equo.
Le relatrici hanno sottolineato come il settore energetico – e quello delle STEM in generale – resti profondamente maschile. Non solo negli organi decisionali, ma anche nei cantieri, nei percorsi di formazione e nelle catene del valore, le donne sono spesso escluse o marginalizzate.
“Entrare in aula per studiare ingegneria, o in un centro di formazione tecnica, e sentirsi le uniche – ha ricordato Wasike – è un’esperienza comune a molte donne. E ancora oggi, in molti incontri pubblici, vediamo le donne sedute in fondo alla sala, mentre gli uomini occupano i posti davanti”.
Questa esclusione ha radici culturali profonde ma anche cause strutturali: norme sociali, stereotipi, disuguaglianze salariali, mancanza di modelli di ruolo e difficoltà di conciliazione tra lavoro e vita familiare. Come ha spiegato Alarakhia nel suo keynote, “non si tratta solo di empowerment femminile, ma anche di rendere gli uomini liberi di assumere altri ruoli, rompendo gli schemi tradizionali”.
Tutte le relatrici hanno convenuto sull’importanza delle politiche pubbliche come leva per il cambiamento. Ma hanno anche sottolineato che servono politiche intelligenti, basate su dati disaggregati per genere, contestualizzate e costruite con le donne, non per le donne.
Anne Kingiri ha proposto una visione integrata: “Quando parliamo di politiche, dobbiamo considerare il livello macro (internazionale), meso (nazionale e regionale) e micro (locale). E dobbiamo riconoscere che esistono diversi tipi di politiche che influenzano la transizione, da quelle fiscali a quelle tecnologiche, da quelle sulla formazione a quelle sul credito”.
Ha inoltre insistito sull’importanza del nexus tra genere e imprenditorialità energetica: capire come le donne si posizionano nella catena del valore, quali barriere affrontano, quali opportunità possono essere create, e soprattutto quali modelli di business e finanziamento siano adatti a loro. “Molte donne – ha ricordato – sono attive nell’economia informale e lavorano nei segmenti a basso valore aggiunto della filiera. Serve un cambio di passo per portarle nei luoghi della leadership, dell’innovazione e delle decisioni”.
Un altro punto centrale è stato il ruolo della formazione tecnica e professionale come strumento per l’inclusione. Elizabeth Gichache ha portato l’esperienza concreta di Wisee, un’organizzazione che forma donne in impianti fotovoltaici e clean cooking. “Abbiamo capito – ha raccontato – che per molte donne, soprattutto madri lavoratrici, non è facile accedere a percorsi formativi strutturati. Abbiamo quindi creato moduli flessibili, pratici e guidati da donne, che offrono una preparazione completa e un successivo accesso a tirocini retribuiti. Grazie a questo modello, oltre il 50% delle partecipanti ha trovato lavoro nel settore”.
Un altro progetto pilota, sempre illustrato da Gichache, è stato quello del supporto alla certificazione professionale in energia solare, con sessioni di tutoraggio tra donne per superare gli esami tecnici e accedere alle licenze previste in Kenya. “Quando crei un ambiente di fiducia e condivisione – ha detto – le donne dimostrano di essere non solo competenti, ma leader naturali”.
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