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Africa: una giornata mondiale per il Kiswahili

di: Andrea Spinelli Barrile | 9 Luglio 2024

È la lingua più parlata nell’Africa subsahariana, conosciuta come lingua madre da almeno 230 milioni di persone, è tra le 10 lingue più parlate al mondo e ha una giornata interamente dedicata per celebrarla, che cade il 7 luglio. È il kiswahili, la lingua ufficiale di Tanzania, Uganda, Ruanda, Repubblica democratica del Congo e Kenya, una delle lingue di lavoro dell’Unione Africana e lingua ufficiale della Comunità dell’Africa orientale.

Tre giorni fa l’Unesco, l’agenzia specializzata delle Nazioni unite per la tutela del patrimonio culturale esistente, ha celebrato il kiswahili con un evento per ricordarne la rilevanza globale come lingua di comunicazione globale, costruita nella vita quotidiana degli africani in un costante arricchimento della sua multiculturalità.

Prima dell’arrivo degli europei il kiswahili era già noto al di fuori dell’Africa e veniva scritto in caratteri arabi: con la presenza araba in Africa orientale si ebbe la diffusione del loro sistema di scrittura, che fu adottato dai popoli della costa orientale africana per ridurre in forma scritta la loro lingua. La letteratura kiswahili scritta in arabo iniziò con la poesia religiosa ed è proseguita addirittura con alcuni racconti della tradizione orale locale, per abbandonare poi gradatamente sia l’argomento religioso che l’alfabeto arabo: all’inizio del XX secolo, la letteratura swahili era ormai diventata una letteratura secolare scritta con l’alfabeto latino. Tuttavia, la tradizione letteraria kiswahili nella scrittura araba è unica nella sfera bantu e vanta il più antico manoscritto letterario dell’Africa subsahariana, Chuo cha Herikali, datato 1728.

La letteratura swahili non è riconducibile ad un gruppo etnico, ma ad una lingua comunemente parlata in una vasta area dell’Africa centro-orientale, un caso quasi unico in Africa. L’influenza del cristianesimo sullo sviluppo della letteratura africana in lingue locali e in lingue europee è stata molto più sentita dell’influenza dell’Islam, specialmente perché il Cristianesimo in Africa divenne alleato del colonialismo. I missionari e gli esploratori europei, si erano interessati al kiswahili fin dalla metà dell’Ottocento, scrivendolo e traslitterandolo coi caratteri latini, ma il nuovo alfabeto si diffuse solo dopo la prima guerra mondiale, sotto il dominio britannico. Il periodo 1918-1949 è caratterizzato da un’intensa attività editoriale di tipo coloniale: vennero stampati numerosi libri religiosi, scolastici, manuali pratici e fiabe per bambini, ma una sola opera di narrativa originale, Uhuru wa watumwa (1934, “La Liberazione degli Schiavi”) di James Mbotela, un’apoteosi degli inglesi in Africa orientale.

Sempre più governi stanno investendo per rendere obbligatorio l’insegnamento del kiswahili a vari livelli di istruzione: ad aprile, l’Uganda ha stanziato 800 milioni di dollari per la promozione e l’insegnamento della lingua come parte degli sforzi per promuovere l’integrazione regionale. In Tanzania, ma anche in Kenya dove la lingua più parlata sarebbe il kikuyu mentre il kinswahili è più per le classi agiate, invece si vede una specie di doppio binario: nelle zone continentali il kiswahili viene insegnato a scuola e spesso va a sostituire dialetti locali mentre nelle isole, Zanzibar e Pemba, è da sempre la prima lingua delle popolazioni, che quindi la usano sia in forma scritta che orale con una ricchezza e una vivacità molto più marcate.

Oggi il kiswahili è anche un occasione per sciogliere la tensione diplomatica e rilassare le fatiche del potere. Un anno fa, quando la presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan ha incontrato il suo omologo del Kenya William Ruto, ha scherzato pubblicamente con lui sul fatto che non utilizzasse forme grammaticali appropriate nel suo parlare in kiswahili. Hassan lo ha detto durante un evento e il moderatore, Larry Madowo, ha approfittato per scherzarci su: “Keniani e tanzaniani sono come fratelli. Ci rivolgiamo ai tanzaniani usando uno swahili improprio e loro rispondono con un inglese stentato. E andiamo avanti così”.

© Riproduzione riservata

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