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I media in Africa, la balcanizzazione di un continente

di: Andrea Spinelli Barrile | 10 Febbraio 2025

Entro la fine del 2025 il mercato dei media dell’intera Africa occidentale è stimato da Statista in 9,69 miliardi di dollari e, nel 2029, il 33,79% dei ricavi totali sarà generato attraverso il mercato dei media digitali. Secondo gli analisti di mercato, i consumatori nell’Africa occidentale stanno sempre più gravitando verso contenuti digitali localizzati che riflettono le loro identità culturali, con un notevole aumento della domanda di film, musica e notizie regionali.

In particolare, la Generazione Z sta diventando il pubblico principale, quello più ampio e con maggiori capacità di spesa e le piattaforme che offrono contenuti generati dagli utenti e funzionalità interattive stanno guadagnando terreno rispetto ai media tradizionali: il pubblico sembra volere narrazioni riconoscibili e autenticità nella propria esperienza di consumatore di notizie e contenuti. Secondo African Business, nel prossimo futuro chi avrà successo nell’industria frammentata dei media e dell’intrattenimento in Africa sarà chi darà ai consumatori africani ciò che vogliono, anziché riutilizzare i contenuti occidentali per l’Africa: è una tendenza chiara che appare già da prima della pandemia nel mercato dello streaming, con aziende come Netflix, Amazon Prime e Spotify che hanno visto crescere i propri numeri in Africa soltanto quando hanno cominciato a produrre i loro contenuti made in Africa.

Il gruppo editoriale francese France Medias Monde (FMM), che ha sotto il suo ombrello testate internazionali come RFI, France24 e Monte Carlo Doualiya Radio (MCD), ha perso 7 milioni di ascoltatori e spettatori in Africa tra il 2019 e il 2023. Lo riporta l’Agence Ecofin, che cita le bozze di contratto di obiettivi e mezzi tra lo Stato francese e il gruppo FMM, un documento depositato all’Assemblea nazionale francese il 9 ottobre scorso: in base a questo documento il Parlamento di Parigi, infatti, dovrà valutare l’erogazione di contributi per l’editoria al grande gruppo editoriale.

La cifra dei 7 milioni di ascoltatori evaporati rappresenta poco più del 3% dell’audience globale del gruppo francese nel 2019: tale perdita, sostiene il gruppo, sarebbe diretta conseguenza dell’oscuramento di RFI e France24 nei Paesi dell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES), quindi Burkina Faso, Mali e Niger, dove RFI e France24 sono state sospese tra il 2021 e il 2023. Probabilmente un ruolo importante lo gioca anche il crollo d’immagine della francofonia in Africa occidentale e l’arrivo di competitor importanti sul mercato. Infatti, il rapporto citato da Ecofin menziona tra il 2019 e il 2023 “un contesto caratterizzato da una crescente sfiducia dimostrata in molte parti del mondo nei confronti dei media occidentali”. La censura “nei nuovi regimi autoritari di Mali, Burkina Faso e Niger” è la causa principale di questa “perdita di pubblico”, pubblico che però non è sparito nel nulla ma si è semplicemente rivolto ad altre fonti. A settembre 2024 RT Academy, l’ente di formazione dell’emittente russa Russia Today (RT, finanziata dallo Stato), ha annunciato il lancio di un programma di formazione specialistica dedicato ai giornalisti africani: la formazione sarà proposta su diverse tematiche, live, fake news e verifica, notizie sui social network, riprese, post-produzione e documentari.

L’arrivo della Russia nel panorama mediatico africano

Oltre ad aumentare le competenze dei giornalisti e dei blogger africani, RT conta su questo programma di formazione per rafforzare la cooperazione tra il suo gruppo editoriale e quelli del continente e per aumentare il suo pubblico nel continente africano: una strategia di espansione che viene attuata da anni ma che ha preso un vero slancio nella seconda metà del 2022, quando l’intero network di Russia Today è stato messo fuorilegge in Europa. Da quel momento, l’editore russo ha concentrato i propri sforzi su partnership africane e sull’espansione della sua rete nel continente africano: Afrique Media TV, canale televisivo online che da poco viene trasmesso anche via cavo e via satellite, ha sede in Camerun e raggiunge milioni di persone in tutta l’Africa. A dicembre 2022 ha firmato una partnership proprio con RT e, da quel momento, la caratura dei suoi contenuti è cambiata molto: basta farsi un giro in archivio per osservarlo. In un rapporto del 2023 di Code For Africa, organizzazione non-profit di giornalismo sui dati con sede in Kenya, si dimostra che Afrique Média ha la responsabilità di amplificare le narrazioni del Cremlino e di promuovere la propaganda pro-Wagner.

Negli ultimi due anni RT e Sputnik hanno siglato accordi con una dozzina di testate africane e RT ha sviluppato un vero e proprio hub africano in lingua inglese, stabilendo il quartier generale a Johannesburg, in Sudafrica: l’obiettivo è “coprire la più ampia gamma possibile di storie che interessano sia il pubblico locale che i telespettatori internazionali” disse al New York Times la vicedirettrice di RT, Anna Belkina. RT, negli anni, ha fatto investimenti importanti: nell’Africa francofona trasmette in francese ma ha progetti in varie lingue, anche locali.

Ma la vera punta di diamante della propaganda russa in Africa è Africa Initiative (AI), il network che maggiormente ha eroso lo spazio mediatico lasciato libero da France Medias: un anno fa, a febbraio 2024, il Dipartimento di Stato americano ha accusato AI di “peggiorare la reputazione dei Paesi occidentali” negli Stati africani e di “migliorare l’immagine della Russia” e secondo gli Stati Uniti “i servizi segreti russi forniscono sostegno materiale e raccomandazioni ad Africa Initiative”. AI è una creatura di Artem Kureev, ex-ufficiale del Servizio federale di sicurezza russo (FSB), già in passato coinvolto direttamente in campagne di disinformazione online in Europa ed Africa, campagne messe a punto dalla cosiddetta “fabbrica dei troll” di Prigozhin: a dicembre, l’UE ha inserito AI e il suo creatore in una lista di sanzioni, in cui c’è anche il Gruppo panafricano per il commercio e gli investimenti (Groupe Panafricain Pour le Commerce et l’Investissement, GPCI) registrato in Togo e il cui capo e fondatore è Harouna Douamba, soprannominato “allevatore di troll” per conto della Russia. L’espansione mediatica russa in Africa è ben organizzata: ad agosto 2024 in Mali è stata presentata Sahel Perspective, una vera e propria scuola di giornalismo (la prima del suo genere per la Russia in Africa) con l’ambizione di diventare una testata a tutti gli effetti: erogherà formazione gratuita, finanziata da Africa Initiative, in giornalismo e comunicazione. Il partner informativo del progetto è l’associazione internazionale russo-africana Gatingo. Più a sud, in Repubblica Centrafricana (RCA), la Russia si è lanciata nel panorama radiofonico creando e finanziando Radio Lengo Songo, che trasmette in sango e francese ed è nata come “la voce di Wagner in Africa” e che ha una copertura in onda corta che arriva a diverse centinaia di chilometri fuori Bangui: nata nel 2018, oggi è tra le cinque emittenti più ascoltate in RCA. Basta andare sul suo sito internet per comprenderne bene la linea editoriale.

Realtà editoriali africane come Radio Lengo Songo, Afrique Media, Malijet, Beninwebtv, DsTV riescono a dare maggiore legittimità e credibilità ai contenuti pro-russi verso un pubblico africano: “Non puoi convincere il pubblico locale in Africa solo parlando la loro lingua. Devi parlare il loro tono” ha detto al Reuters Institute Allan Cheboi, responsabile di Code For Africa: “Le persone ascoltano di più e credono di più quando un’entità locale o qualcuno che ti è vicino parla effettivamente di un problema particolare”. Per questa ragione RT e Sputnik hanno lanciato canali in lingue locali, ad esempio in amarico, kiswahili, ma anche in arabo e francese: chi atterra oggi all’aeroporto Bole di Addis Abeba viene accolto da un video promozionale digitale che pubblicizza RT in amarico e inglese su uno schermo di sei metri per tre.

In Sudafrica, Tanzania, Zimbabwe, Ghana, Kenya, ma anche in Costa d’Avorio, Burkina Faso, Senegal e Camerun per dare una panoramica sull’Africa sia francofona che anglofona, è in corso una campagna pubblicitaria massiccia, con cartellonistica stradale e sponsorizzate sui social, per promuovere i network russi nel continente: “I tuoi valori. Condivisi” è lo slogan della campagna di RT, scritto in inglese o francese su grafiche che cambiano sempre e raffigurano, sempre, gli eroi del panafricanismo, da Kwame Nkrumah a Julius Nyerere, fino a Milton Obote e Robert Mugabe e Thomas Sankara. La promessa al futuro pubblico è chiara: “Smantellare le narrazioni neocolonialiste nei media”.

La Cina all’arrembaggio

StarTimes è il cavallo di troia dell’informazione cinese in Africa: è un editore di Stato cinese, il governo di Pechino ha iniettato negli ultimi anni 2 miliardi di dollari nella compagnia, che trasmette sia in digitale che via satellite e ha studi di registrazione in 30 Paesi africani, dove vanta 20 milioni di abbonati. In aumento: l’azienda cinese ha fatto sapere di stare installando 10.000 parabole satellitari nelle zone rurali di 20 Stati africani e ha attualmente partnership con la Tanzania Broadcasting Corporation e la Zambia National Broadcasting Corporation. Nel suo feed di notizie sui canali all news rilancia anche testate russe come RT.

L’Africa è un orizzonte importante per i media cinesi: sono molti gli appaltatori africani, ad esempio in Kenya, che ogni giorno producono notizie (500 giornalisti che producono fino a 1.800 news al mese secondo l’Africa Centre for Strategic Studies) per i siti di informazione cinesi. Ma non solo: i giganti del giornalismo cinese, come l’agenzia Xinhua, China Daily, CGTN e China Radio International hanno una presenza capillare in Africa. L’agenzia Xinhua ha 37 uffici nel continente africano, un primato assoluto: nessun organo di stampa al mondo ha una presenza così massiccia nel continente africano. Una presenza che porta a intese fruttuose: l’accordo di condivisione dei contenuti di Xinhua con il Nation Media Group del Kenya apre all’agenzia cinese l’accesso a 8 stazioni radiofoniche e televisive in quattro Paesi dell’Africa orientale e centrale, 28 milioni di follower sui social media, 11,3 milioni di spettatori mensili e 90.000 copie al giorno di tiratura dei quotidiani. In questo senso, il potere dei media cinesi è sempre più grande e riguarda anche le inserzioni pubblicitarie, che sostengono le testate locali con cui Pechino non collabora direttamente: la pratica di un giornalismo conforme e acritico mina le tradizioni di giornalismo investigativo indipendente emerse in Africa a partire dagli anni Sessanta ed è capitato, per esempio a Standard Media, che vedessero azzerarsi i budget pubblicitari cinesi dopo aver coperto in maniera negativa notizie che riguardavano la Cina.

China Radio International (CRI, un network di Stato cinese) ha uno dei progetti radiofonici più ambiziosi, capillari e funzionali del pianeta Terra ed è in grado di trasmettere, in onda corta, contenuti in qualsiasi lingua del mondo. Ogni giorno, tra le 20:30 e le 21:30, CRI trasmette in onda corta in lingua italiana e lo stesso fa anche nelle varie lingue africane.

In Africa, la radio è tutto e offre un panorama ampissimo, difficilmente monitorabile ma altrettanto interessante per chi vuole distribuire capillarmente i propri contenuti: nella sola Uganda (48,5 milioni di abitanti) esistono oltre 150 stazioni radio che trasmettono in 38 lingue diverse. La radio commerciale locale è cresciuta nell’Africa subsahariana in media del 360% tra il 2000 e il 2006 mentre la radio comunitaria è cresciuta in media di un sorprendente 1.386% nello stesso periodo e sebbene i nuovi media siano aumentati, anche molto, la radio è ancora oggi lo strumento che raggiunge il pubblico più ampio in tutto il continente.

E poi ci sono i progetti di soft power, esattamente come per i grandi network occidentali e le grandi organizzazioni di media advocacy occidentali: il China Africa Press Center promuove esperienze di internship ai giornalisti africani presso i media cinesi, con incarichi di 10 mesi come redattori. C’è anche il Belt and Road Journalists Network, che mette in contatto i giornalisti africani con le loro controparti in altri Paesi in via di sviluppo, e la All-China Journalists Association, che gestisce l’attività di sensibilizzazione della Cina presso la Federation of African Journalists (che a sua volta conta oltre 150.000 membri).

Turchia, l’influencer che non ti aspetti

Da qualche anno, sta guadagnando terreno nel panorama dei media africani anche la Turchia: sono molte le redazioni che, in occidente, si affidano oggi all’Agenzia Anadolu o alla Turkish Radio and Television Corporation (TRT) per coprire la politica e l’economia africana, grazie alla rete capillare di corrispondenti che questi due media turchi sono riusciti a creare nel tempo.

Quando il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP, il partito di Erdogan) dichiarò il 2005 “Anno dell’Africa”, le notizie e gli sviluppi riguardanti il continente iniziarono a essere seguiti più da vicino dai media e dagli accademici turchi. Fino agli anni 2010, i media turchi trasmettevano perlopiù notizie sull’Africa attingendo da fonti occidentali. Dopo il 2010, quando istituzioni come l’agenzia Anadolu e la TRT (che sono entrambe pubbliche) hanno iniziato ad aprire uffici di rappresentanza in vari Paesi, le informazioni provenienti dal continente sono cominciate a essere trasmesse in modo più accurato e “sistemico”.

Questa presenza mediatica è ormai massiccia in quasi tutto il continente, laddove crescono anche gli interessi turchi: in Somalia ad esempio (terra di grandi interessi turchi), la Somali National News Agency (SONNA) ha un accordo con Anadolu e TRT, da cui riceve notizie non solo sulla Somalia ma sul mondo intero. Restando in Africa orientale, lo stesso vale per il Daily News in Tanzania, con Anadolu e TRT garantiscono un importante flusso di notizie alla testata, storie che “contribuiscono in modo significativo al miglioramento delle relazioni della Turchia con il continente africano” secondo Anadolu. Nel 2022, Anadolu ha firmato un accordo di cooperazione con la Nan, la News Agency Nigeria, l’agenzia stampa nazionale, accordo volto a “diffondere informazioni accurate alle masse” disse il direttore dell’agenzia nigeriana, Buki Ponle.

Nel 2019, la Presidenza per i Turchi all’Estero e le Comunità Affini (YTB) ha lanciato il Programma di Formazione per Giornalisti Africani (AFMED), a cui hanno partecipato 20 giornalisti da altrettanti Paesi africani: inoltre, la YTB ha organizzato regolarmente incontri di laureati per gli studenti africani che hanno studiato in Turchia, contribuendo alla costruzione di una rete di professionisti legati alla Turchia nei media africani. Il 25 e 26 maggio 2022, in occasione della Giornata dell’Africa, si è tenuto a Istanbul il Turchia-Africa Media Festival, organizzato dal governo turco e al quale hanno partecipato un’ottantina di giornalisti africani arrivati in Turchia da 45 diverse nazioni.

Oggi Anadolu ha uffici in Etiopia, Sudafrica, Nigeria, Sudan, Somalia, Kenya e Senegal. Nel 2017, la TRT ha iniziato a trasmettere in lingua hausa, parlata da circa 45 milioni di persone in Africa occidentale e centrale, e nel 2020 ha avviato trasmissioni in swahili, lingua parlata da circa 150 milioni di persone in Africa orientale e sudorientale. Esiste poi Natural TV, fondata ad Ankara nel 2017 da un gruppo di imprenditori turchi, che trasmette programmi in inglese e francese in 22 Paesi dell’Africa occidentale, raggiungendo oltre 5 milioni di spettatori. Inoltre, in più di 20 Paesi africani si trasmettono serie televisive turche, con una forte audience in Etiopia, Tanzania, Ghana, Senegal, Burkina Faso, Camerun, Madagascar, Mali e Nigeria: questo fenomeno contribuisce alla creazione di una percezione positiva della Turchia nel continente.

I media arabi

Un ruolo molto importante, che oggi va molto fuori i confini sia del mondo arabo che dell’Africa, ce l’hanno i media arabi, non solo in Nord Africa. Le principali emittenti arabe presenti nel continente oggi sono Al Jazeera, Al Arabiya e Sky News Arabia, che coprono le questioni africane con vari gradi di approfondimento, spesso filtrando le notizie attraverso le prospettive geopolitiche dei Paesi del Golfo, del Maghreb e del Medio Oriente.

Al Jazeera, del Qatar, in questo panorama, fa la parte del leone ruggente: ha una rete di giornalisti che copre tutto il continente, con team di lavoro strutturati in Sudan, Somalia, Etiopia, Kenya e Nigeria, e ha mostrato di saper avere un forte impatto sul pubblico ad esempio durante la copertura delle rivolte in Sudan o la primavera araba in Egitto, dove è stata percepita come ostile dai regimi locali.

Al Arabiya, saudita, rappresenta la parte forse più conservatrice e filo-governativa della stampa araba nel continente africano: rispetto alla concorrente qatarina, ha una copertura più limitata dell’Africa subsahariana, concentrandosi principalmente sul Nord Africa e sul Corno d’Africa e la copertura degli eventi in Sudan, Somalia e Libia, per citarne alcuni, è spesso allineata con la politica estera saudita ed emiratina. Lo stesso vale per Sky News Arabia, che tuttavia ha una dimensione minore rispetto alle prime due.

C’è una grande diffusione dei media arabi soprattutto nei Paesi a maggioranza musulmana, dove tuttavia esistono anche realtà locali interessanti: Nile TV (Egitto) e Al-Aoula (Marocco) trasmettono contenuti in arabo che raggiungono anche il Sahel e il Corno d’Africa e poi ci sono testate come Ennahar TV (Algeria) e Medi1 TV (Marocco), che coprono temi legati alla sicurezza e all’immigrazione con focus su Paesi come il Mali e il Niger, media questi che hanno già mostrato la loro capacità di influenzare la narrativa in Africa settentrionale e subsahariana:

I media occidentali annaspano

Premesso che per vedere Rai Africa serve affidarsi a Salvatore Aranzulla, dal 2010 ci sono due distributori principali di Rai Italia in l’Africa: DsTV e Multichoice, entrambi sudafricani, che coprono la maggior parte dei Paesi. Per il resto, la Rai ha siglato partnership locali con diverse tv pubbliche.

Il problema dei media occidentali in Africa è un problema antico e si può sintetizzare in una sola parola: colonialismo. Continuamente, emergono polemiche molto accese in Africa sul modo che i media occidentali hanno di rappresentare il continente africano, che spesso è raccontato come un buco nero di sofferenze, malattie, guerre e carestie, un luogo di dolore senza speranza verso il quale l’unica arma che abbiamo noi spettatori è il whitesaviourism o aprire il portafogli alle raccolte fondi di Natale, quando agli spettatori europei e nordamericani viene sbattuto in faccia che lo smartphone che comprano ai loro figli causa sofferenza a chi estrae i minerali. Una sofferenza che si lenisce con una donazione liberale di pochi euro al conto corrente dedicato.

Questo problema della narrazione, della visione che i media occidentali hanno da sempre verso l’Africa, si somma a quello dei contenuti, che sono distanti da un pubblico africano il quale, di fronte a un panorama mediatico che offre tanto di nuovo, preferisce guardarsi attorno.

La disinformazione sull’Africa è stata, e lo è ancora, un’industria importante per i media in occidente, dove per descrivere l’Africa si usa ancora un vocabolario fatto di metafore e luoghi comuni: se è vero, com’è vero, che la maggior parte degli occidentali non ha mai visitato l’Africa e potrebbe non visitare mai il continente, altrettanto vero è che il pubblico europeo ha un’immagine chiara dell’Africa nel suo immaginario: inefficienza, corruzione, violenza, povertà, carestia, guerre tribali, incompetenza e, quando va bene, “ritmo nel sangue” e “cibo africano”. Sono immagini che affondano le loro radici più profonde nella storia che lega schiavitù e colonialismo, in una relazione di subalternità che da sempre l’Europa ha imposto all’Africa: paternalismo e razzismo, un racconto che spesso ha colpevolizzato le vittime deviando l’attenzione da ogni altra responsabilità.

In tal senso, il mondo dei media occidentali non è mai riuscito a fare un vero balzo in avanti nel suo raccontare l’Africa post-coloniale e il problema è che nel mondo dei media occidentali si dibatte di questo dalla fine degli anni Ottanta.

Senza l’Africa, France Medias è in crisi?

Secondo il rapporto del gruppo France Medias, il pubblico complessivo del gruppo editoriale è comunque cresciuto, passando da 207 milioni di persone nel 2019 a 255,5 milioni nel 2023 ma l’importanza del continente africano resta fondamentale per la tenuta del gruppo: nel 2023 solo l’Africa francofona ha rappresentato più della metà del pubblico di Rfi (33 milioni di ascoltatori stimati), mentre l’Africa è “il primo bacino di ascolto, con 46,8 milioni di ascoltatori nel 2023” di France24: si tratta di oltre 60 milioni di ascoltatori per le radio di informazione francesi nella sola Africa occidentale, un quarto del suo pubblico totale nel 2023 che, visto il contesto di crisi della francofonia in Africa, va in qualche modo trattenuto o rischia di disperdersi velocemente.

Per fidelizzare il pubblico africano, France Médias Monde sembra determinata a resistere alla guerra dell’informazione condotta dalla Russia e dai suoi media in Africa: il gruppo francese ha annunciato che intende essere più trasparente circa il modo in cui i suoi giornalisti lavorano nel continente, così da ispirare maggiore fiducia, e saranno create redazioni locali che si dedicheranno a pubblicazioni in lingue locali, rafforzando così la cooperazione con i giornalisti africani. Tuttavia, per fare queste cose occorrono risorse che attualmente il gruppo editoriale Fmm non ha: per il 2028, ad esempio, il gruppo ha previsto un fabbisogno di 292 milioni di euro per le sue attività. In un contesto in cui il governo francese mostra la volontà di ridurre i finanziamenti alla radiodiffusione pubblica, questo potrebbe rappresentare un problema per il gruppo editoriale.

Il vuoto africano lasciato suo malgrado da France Medias non è destinato a restare tale a lungo.

© Riproduzione riservata

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