di: Massimo Zaurrini | 24 Dicembre 2024
Se ripenso a quando nella primavera del 2013 abbiamo dato alle stampe il primo numero di Africa e Affari, che aveva un focus e una copertina dedicata all’Angola, ripenso agli occhi sorpresi, a volte sgranati, più spesso increduli degli interlocutori istituzionali o aziendali a cui con entusiasmo spiegavamo il senso di una scommessa editoriale che voleva raccontare il mondo economico africano in Italia. Dopo ore passate con Gianfranco a confrontarci sul nome da dare alla testata (che per un editore è un po’ come per un genitore scegliere il nome di un figlio) alla fine scegliemmo quello attuale. All’epoca, però, sembrava quasi un ossimoro: “Come è possibile parlare di affari in Africa?”. Gli affari in Africa devono per forza essere poco trasparenti. Ma quell’ossimoro ci piacque subito, consci che sarebbe risultato a dir poco singolare.
Ricordo gli sguardi quasi compassionevoli di chi, per educazione o rispetto, ci ascoltava parlare di megatrend, di opportunità, di crescita economica e demografica, di urbanizzazione, di nuovi mercati, di futuro. Ricordo le sedie vuote alle presentazioni dei nuovi numeri o i caffè presi al bar davanti alla libreria che ci ospitava con l’unica spettatrice, Luisa, presentatasi quella sera. Ricordo bene il groppo in gola la mattina prima di un incontro organizzato su questo o quel Paese o settore africano, con l’ansia che si presentasse un numero “accettabile” di persone ad ascoltarci. Africa significava carestie, guerre e, se andava bene, esotismo. Per questo ieri mi si è scaldato il cuore quando partecipando all’evento di un’istituzione finanziaria italiana ho visto le sale piene di persone, ho visto tutte le principali istituzioni (economiche e politiche) nazionali sedute nel banco dei relatori a spiegare i propri programmi e/o progetti dedicati all’Africa. Ho visto imprenditori e consulenti prendere appunti. Ma vengo, e veniamo con i miei colleghi, da almeno tre mesi di incontri quasi quotidiani dedicati al continente in giro per l’Italia, organizzati da università e associazioni, da camere di commercio e regioni, da aziende e da istituzioni. Negli ultimi mesi è stato un crescendo che ci ha costretto, a malincuore, a dover declinare alcuni inviti.
Un progetto editoriale non lo avvii per diventare ricco, in Italia meno che in altri Paesi. Lo avvii perché hai qualcosa da dire, da raccontare, perché hai voglia di contribuire al pensiero generale. Perché, come nel nostro caso, vuoi accendere una luce su degli aspetti dell’Africa che venivano dimenticati. Siamo sempre stati convinti non che l’Africa avesse bisogno dell’Italia, ma che quello africano era un treno che l’Italia non poteva e doveva permettersi di perdere. Per mille ragioni. Ecco perché quella sala piena e quei temi oggi sono condivisi da molti, mi hanno dato soddisfazione. Questa onda di nuova attenzione, lentamente, sta scavando anche la rocciosa immagine africana che viene rimandata dai media generalisti.
Prima di scrivere queste righe mi sono divertito a interrogare tutti i principali moderni oracoli di intelligenza artificiale sull’immagine dell’Africa veicolata dai media italiani nell’ultimo anno. Il responso è stato: “C’è una tendenza graduale verso un aumento dell’attenzione mediatica su temi economici e di sviluppo. Questo riflette l’interesse crescente per le opportunità di investimento in Africa, il ruolo emergente di alcune economie africane e le iniziative di cooperazione internazionale. Sebbene queste notizie non abbiano ancora raggiunto la stessa visibilità dei temi più tradizionali, la loro presenza nei media è in crescita rispetto agli anni precedenti”. Il lavoro da fare è ancora tanto, ma adesso siamo sempre di più a poterlo fare.
Questo editoriale è apparso sul numero di dicembre 2024 di Africa e Affari, disponibile per l’acquisto qui in formato cartaceo e qui in formato digitale.